Elogio alla Famiglia

Pubblicato giorno 31 Gennaio 2016 - Assistente PF, Cammino, Cammino famiglie 2016, Diocesi di Lugano, In home page

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Catechesi di Mons. Willy Volonté al Giubileo delle famiglie del 31 gennaio 2016 (nell’anno del Giubileo della Misericordia)

Prima di ogni altro sentimento o emozione o desiderio, il motivo che ci ha condotti qui è la consapevolezza che quello che stiamo compiendo, oggi, è un atto, un gesto di gratitudine. Saper dire “grazie” per qualcosa che ci viene proposto, affinché la nostra fede sia sempre più vera, limpida, operosa, innesca certamente una positività nella vita.

Quindi diciamo grazie a Papa Francesco che ha voluto questo Anno Santo della misericordia, che ci fa sentire meno soli nel tentativo della nostra conversione, del nostro ritorno al Signore. Ci fa sentire nel cammino di tanti nostri fratelli, nel cammino comune della Chiesa cattolica.

Quando ci verrà la tentazione, in qualsiasi situazione di vita ci possiamo trovare, di affondare nello scoraggiamento, nella pigrizia spirituale, nel dire “tanto non ce la farò mai; è tutto tempo perso” ci sia in noi la convinzione che siamo in pellegrinaggio verso la meta con milioni di altri nostri fratelli nella Chiesa. È inevitabile trovarci soli nelle grandi decisioni, perché la responsabilità e la libertà, in ultima analisi, noi dobbiamo giocarle in prima persona, e tuttavia non siamo in solitudine, c’è la compagnia della Chiesa con noi. Oggi, in questo cammino dell’Anno Santo, siamo con la Chiesa intera.

E poi un grazie al Vescovo Valerio che ci ha convocati per varcare tutti assieme come famiglia piccola o grande che siamo la Porta Santa del Giubileo.

Per questo motivo sono qui, in questo gesto del varcare la Porta Santa (la Porta è segno di Cristo, è Lui la Porta attraverso la quale si entra nello spazio di Dio, nel modo di pensare e amare di Dio!) non solamente i coniugi con i loro figli, ma anche i nonni e anche i fidanzati, che stanno preparandosi al passo decisivo per il loro matrimonio.

Varcare la Porta Santa è un gesto che esprime come ciascuno di noi, personalmente decide di stare dalla parte del Signore, di essere Suo alleato. Come nell’Antico Testamento, quando Giosuè, che prenderà il posto di Mosè nel compito di guidare il popolo d’Israele a varcare la porta della Terra promessa, lasciandosi dietro anni di lotte e di guerre e assumere la responsabilità di condurre il suo popolo afferma: Io non so che cosa voi sceglierete di fare, ma per quanto mi riguarda: “Io e la mia famiglia e la mia casa scelgo di stare dalla parte del Signore” (Gs 43,1). Varcare la Porta santa è dire, ciascuno personalmente, ma anche come famiglia vogliamo “stare dalla parte del Signore”.

Quindi diciamo questa parola “grazie” tutti assieme con questa decisione di stare dalla parte del Signore, e diciamola attraverso un canto: “Il cielo narra la Tua Gloria…”

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2. Ora, una domanda impellente ci dobbiamo fare: dove, in che luogo dell’esistenza normale, quotidiana, impariamo a dire e vivere la parola “misericordia”? E se tutto deve partire dalla persona, da quel luogo che normalmente chiamiamo “cuore”, dove e in quale luogo esistenziale si forma e si compie questo primo passo per imparare ad essere misericordiosi? In che luogo della vita tutto può rimettersi in moto e ricominciare a praticare questo modo d’essere amorevole, nonostante le fatiche e i disagi?». La risposta è semplice, immediata: la famiglia. La famiglia è il luogo da cui tutto parte e che quindi ha bisogno della massima cura. Infatti, lì in famiglia, l’uomo e la donna imparano ad amarsi fino a riconoscere e perdonare le proprie differenze; lì in famiglia s’imparano la fatica e la gioia del generare figli; lì si affronta giorno dopo giorno la sfida educativa; lì si ritorna dal lavoro affaticati e spesso delusi e inquieti sperando di trovare ristoro; lì si vive la festa; lì s’impara a ricomporre nel dialogo le differenti vedute e opinioni; è in famiglia che si prendono e ci si confronta sulle decisioni importanti da prendere; lì si dovrebbe imparare a pregare ogni giorno; lì si organizza il tempo per andare se è possibile a Messa assieme; lì s’impara e si è accompagnati a ben morire nella fede… Vedete come la famiglia è il luogo della crescita personale nell’intelligenza e nel cuore. La famiglia è il luogo degli inizi e dei ritorni. “La famiglia è il test della vera libertà, perché è l’unica cosa che l’uomo fa da sé e per sé”. (G.K Chesterton)

Per questo la famiglia è attaccata da tutte le parti, nel tentativo di snaturare l’identità che il Creatore ha voluto darle. E là dove non la si attacca apertamente la si ignora, non la si sostiene con politiche sociali adeguate.

Giovanni Paolo II parlava della famiglia come luogo della “genealogia della persona”, dove appunto si forma la persona nel suo presente e nel suo futuro, perché si fa tesoro del passato.

Io, voi, non saremmo qui questa sera se non ci fossero stati tra noi coloro che ci hanno preceduto nel segno della fede, come diciamo nella Santa Messa. Saremmo degli sbandati, gente che non ha una strada certa da seguire, se non ci fossero stati coloro che ci hanno trasmesso valori significativi per vivere e prospettive buone di esistenza. Magari correggendo, incoraggiando, dandoci le ragioni per camminare bene. Per questo motivo abbiamo invitato anche i nonni a questo Giubileo, perché i nonni sono una grande risorsa, non solo perché ci tengono i bambini e ci aiutano a casa perché dobbiamo andare al lavoro, ma perché i nonni quando sono veramente tali, cioè due volte padri e madri ci trasmettono la tradizione di presenze e di valori che non dovremmo mai abbandonare.

Quindi la famiglia è il luogo in cui la persona prende forma, impara a guardare la vita e la creazione, specie se è una famiglia cristiana, con lo sguardo stesso di Dio.

C’è un canto che cantiamo spesso in chiesa, ma credo di cui non sempre ne cogliamo il senso, che dice bene quello che vi ho detto: in famiglia s’impara a guardare la realtà che ci circonda come segno della “Gloria del Signore”, cioè segno dello splendore, della bellezza e della presenza del Signore, della sua misericordia piena di tenerezza. (“Noi canteremo Gloria a te, Padre che dai la vita…Tutto il creato vive in te segno della Tua Gloria”)

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3. Di una terza realtà dobbiamo renderci conto in quanto famiglia in questo Anno Santo della misericordia.

Chiediamoci: dove imparo a riconoscere la paternità di Dio? Dove imparo che Dio ha anche sentimenti materni nei nostri confronti? E dove la paternità e maternità diventano esercizio quotidiano e prendono corpo e nel vivere quotidiano? E dove paternità e maternità si giocano nelle pieghe più nascoste della vita, attraverso azioni semplici che appaiono, ma non lo sono, persino irrilevanti: azioni semplici che nascono da atteggiamenti che denotano la pazienza dell’aspettare che le cose buone crescano in famiglia, che attendono che l’altro, sia esso marito o moglie, sposo o sposa o figlio, che l’altro compia il passo giusto magari dopo lenta maturazione; dove imparo una paternità e una maternità che sia coraggiosa nel proporre le ragioni del buon vivere e attende che con piccoli passi quotidiani l’altro si ponga a livello giusto delle nostre attese? Dove imparo a chiamare Dio come “Abba”, un papà che ha sentimenti materni? Dove s’impara ad assumere questi atteggiamenti buoni, se non ancora una volta in famiglia, dentro l’altra grande famiglia che è la Chiesa?

Il cardinale Scola, arcivescovo di Milano, colloquiando con le famiglie ha parlato della bellezza del “martirio della pazienza”. Esigenti nel perseguire il traguardo, la meta buona, e insieme la pazienza, che il bello e il proposito buono compia il lungo tragitto che va dalla testa, dalla ragione e scenda giù fino al cuore.

Dove imparo questo modo d’essere e di vivere? Questo uomo nuovo che nasce guardando l’umanità di Cristo. Prioritariamente la famiglia è l’ambito che, come dice San Paolo parlando della natura dell’amore cristiano, s’impara che la carità (cioè l’amore con l’impronta di Cristo), tutto spera, tutto sopporta, tutto crede, tutto scusa, ma può essere tale proprio perché prima è un amore, un voler bene all’altro e che è anzitutto magnanimità (cioè un cuore grande), è benevolenza (cioè vuole il bene dell’altro), non è gonfio di orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non va in collera, non tiene conto del male ricevuto, non gode perché l’altro è umiliato, ma trabocca di gioia quando trionfa la verità. Dove imparo tutto questo se non in famiglia e soprattutto perché prima di insegnarlo ai figli i genitori lo vivono l’uno con l’altro, l’uno per l’altro.

Insomma, in questo anno della misericordia dobbiamo imparare a rispondere ai tanti interrogativi che ho voluto proporvi, farli diventare nostri e dare ad essi una risposta convincente. Che le cose da fare, le azioni da compiere nascono da una ragione profonda e quindi dobbiamo imparare ad avere un cuore misericordioso come Cristo. Direi che occorre avere uno “sguardo”, un modo di guardare l’altro che abbia il timbro della tenerezza verso le persone; uno sguardo che vede anzitutto il possibile bene che abita nell’altro da me, piuttosto che quello che ancora non c’è, che ancora manca.

E concludendo: la nostra Diocesi, attraverso il Vescovo e coloro che collaborano con lui per il bene della famiglia vorrebbero aiutare gli sposi, le famiglie a tenere vivo questo sguardo sulla realtà della casa, sull’educazione dei figli, sulla riconoscenza per i nostri anziani, ma soprattutto sull’amore di Cristo. Nostro desiderio è accompagnarvi in questo cammino di presa di coscienza di quello che San Giovanni Paolo II scriveva nella Familiaris consortio: Famiglia diventa te stessa, diventa ciò che già sei!

Io credo che se questo desiderio, questo modo d‘essere sarebbe accettato anche dai giovani, se fosse tenuto vivo, e dai fidanzati che stanno preparandosi a prendere la decisione per il sacramento del matrimonio. I giovani ritorneranno a sposarsi e non a convivere per un tempo indeterminato; a mettere al mondo i figli per trasmettere loro il gusto di vivere nell’amore reciproco, a vivere nella fede della Chiesa perché è l’unica a garantire pur dentro le nostre debolezze un cammino positivo nella vita, di sanare le ferite e imparare a perdonare le nostre differenze; insomma a fare della famiglia una piccola Chiesa. Detto questo qualche indicazione per quanto faremo in futuro come Diocesi per aiutare chi già in diverse parti: parrocchie, movimenti, gruppi e associazioni ecclesiali è in cammino per vivere la preziosità della famiglia.

Don Willy Volonté
Delegato vescovile per la Pastorale Familiare

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